In Lessinia si cantano ancora le fiabe

di Bepi De Marzi

La montagna dei veronesi è la Lessinia, un ventaglio di prati e piccole valli che si apre subito dalla città fino a salire in Trentino, sul ciglio della Valle dei Ronchi, sopra Ala. È un immenso altopiano che, dopo Bosco Chiesanuova, si tiene sulla media altura dei milleseicento metri: paradiso delle malghe, dei pascoli ondulati, del verde senz'alberi, del vento tra le rocce basse, affioranti come città dimenticate, scalfite dai faggi rampicanti.
D'inverno è strada infinita per lo sci di fondo; d'estate è scampanio di mandrie intorno al cuore antico delle Regole comunitarie: Podestaria. E nei mesi dell'attesa tra le forti stagioni, quando c'è solo il silenzio a raccontare il tempo, volano le aquile dai costoni del Carega, corrono le lepri rassicurate dalle pieghe dei prati, si allargano pozze rotonde nelle morbide doline, stanno sospesi i falchi fischianti nelle astute cacce. 
E a Velo si cantano le fiabe. Velo si sporge appena dal frastagliato bordo di levante, a poco più di mille metri sopra il Progno, la Valle d'Illasi che sale a Giazza, al rifugio Revolto e a Campobrun. Velo, dove si canta; Velo, dove si racconta. Velo, dove la montagna è viva senza cedimenti alle tentazioni della città che illumina le notti alla fine delle strade e dei torrenti ormai senz'acqua. Velo dei cóvoli, piccole oscure grotte lungo le pareti di roccia sopra i boschi; Velo degli orchi burlevoli, gli abitatori della notte nei racconti dell'infanzia; Velo delle bellissime fate che nella scorrevole parlata altoveronese diventano le fade che si mutano in streghe nel grande Cóvolo di Camposilvano, cattedrale dei misteri. Velo dell'Arcovergine: lassù chiamano così l'arcobaleno dopo i temporali. Velo di Alessandro Anderloni, il poeta della felicità senza timori.

Sulla piazzetta che verso ponente guarda il Monte Baldo, alto in campate a fermare i tepori del Garda, ci sono sempre ragazzi che giocano e parlano e ridono e gridano. Ragazzi bellissimi, sorridenti, tranquilli sulla montagna viva delle fatiche mai concluse, ma nella consapevolezza del lavoro domato dalla tecnica, della fatica alleviata da ciò che il ragionevole progresso può mutare. Ragazzi quasi tutti biondi, sereni, con gli abiti della normalità senza ostentazione, ma dentro la certezza dell’età. Molti studiano in città, ma subito ritornano a lavorare con le famiglie, e ancora cantano e recitano nell’armoniosa chiesa a tre navate di marmi rossi, nel piccolo teatro che si apre da sotto un porticato quasi francescano con colonnine sottili e rustici capitelli.

A condurre i suoni, le storie nuove o ritrovate, il dilatato cantare e le serali confidenze che diventano ancora fiabe, c’è sempre lui, il ragazzo senza stanchezze, che ha confermato nel suo piccolo paese di nemmeno mille abitanti la giusta misura della vita di montagna.
Alessandro Anderloni, figlio di albergatori, laureando in lettere, ha stravolto perfino i normali e consolidati meccanismi delle vacanze in montagna. Certo, a Velo, come in tutta la Lessinia, scorre bene il turismo estivo, alberghiero e residenziale; come si sta sempre più affermando quello invernale che punta soprattutto agli spazi innevati di San Giorgio dei Pàrpari. Ma Velo è soprattutto montagna che non si piega alle deliranti voglie turistiche, che non confonde il suo forte carattere nelle ritualità inventate ovunque per catturare le annoiate presenze cittadine. Velo ha una sua propria dignità che lo caratterizza fortemente nell’immenso altopiano e la gente del “centro” paesano, come quella delle vivaci contrade intorno, sente e vive questa nobile diversità che, a pensarci bene, è soprattutto continuazione di vita.
Alessandro Anderloni ha cominciato il suo lavoro tra la gente esprimendosi subito come commediografo. Prima con un gustoso spettacolo che canzonava le usanze dei turisti del fine settimana; e per questo ci sono state subito delle reazioni stizzite di alcuni "cittadini" e delle interpretazioni inopportune di un paio di giornalisti “mandati a capire”.

Poi con la realizzazione di una lunga azione teatrale che rievocava il “passaggio” della Madonna Pellegrina nel 1950: La Madona l’à portà la luce. E per questo evento si è mosso tutto il paese: gli abitanti sono diventati attori, compreso il giovane parroco. Anderloni aveva raccolto nell'archivio parrocchiale, ma soprattutto dalla memoria viva dei meno giovani, tutti i particolari di quei giorni di festa, di fede popolare, di felicità e di speranza.
E ha “messo in scena”, condensandola in due ore di rapidi, gustosi e commoventi “quadri”, la verità emozionata di quei giorni lontani. Il successo immediato ha portato subito alla necessità delle repliche. Così, lungo l'estate, a sere alterne, fissate con un calendario diffuso con sapienza, dai paesi della Lessinia, ma anche dalle città, sono saliti a Velo turisti incuriositi e appassionati di teatro.
La rappresentazione prevedeva anche una processione. Ed ecco la gente, a sera, dopo il lavoro e la cena, uscire dalle case per mettersi in fila e cantare: le donne col velo nero, come si usava; le ragazze con abiti bianchi e fasce azzurre: le Figlie di Maria; poi i Confratelli del Santissimo, i chierichetti, il baldacchino, le autorità impettite e l'immancabile Schola Cantorum. “Alte le fiaccole!”, gridava Alessandro Anderloni impegnato nella parte del curato, il cappellano aiutante del parroco.
Da quello spettacolo si è rafforzato il coro parrocchiale fino a formare un gruppo corale più specialistico: “Le Falìe”, che vuol dire i fiocchi di neve. E, naturalmente, i bambini hanno formato “Le Piccole Falìe” con canti autonomi e attività parallela al coro più grande. Anderloni sa bene anche di musica. Ed eccolo subito inventate Sera i oci, te conto ’na storia, spettacolo recitato e cantato, interpretato tutto da ragazzi: le fade, gli orchi, le storie dei boschi, le leggende raccontate nelle lunghe sere invernali, quando le famiglie si ritrovavano nella stalla a concludere il giorno, nella riunione di contrada chiamata filò.

Successo immediato anche per questa rappresentazione e, naturalmente, subito il teatro di Velo sempre esaurito, perfino con prenotazioni e repliche da giugno a settembre. Di questo lavoro è stato realizzato anche un ottimo video, posto in commercio e andato subito a ruba. A questo punto, la Giovane Montagna di Verona, che aveva seguito con profonda attenzione, perfino con affetto, il lavoro di Anderloni, ha pensato bene di far conoscere direttamente alle città della pianura “il caso di Velo”.
Ed eccola organizzare incontri a Verona, eccola proporre fino a Vicenza le proiezioni, le repliche degli spettacoli che intanto si erano arricchiti di una nuova opera: I colori dell'Arcovergine, altra storia della vita in montagna, spettacolo esemplare su una contrada che si racconta intorno alla fontana. Storia pur sempre nel dialetto di casa, un parlare che non necessita proprio di alcun recupero perché è il modo corrente, naturale di parlare lassù: dai vivaci giochi di piazza fino alle contrade più lontane dove si curano con amore le fienagioni.
E il turismo, intorno a Velo, ha dovuto prendere i ritmi dei veri montanari, come se la gente dicesse “se volete stare un po' con noi cercate di imparare la vita in montagna: rispettatela e rispettateci”.

Ora Alessandro Anderloni sta componendo nuovi canti per i suoi cori. Sta per uscire un compact-disc con tutte le interpretazioni delle Piccole Falìe. In chiesa, collaborando strettamente con il nuovo giovane parroco, trascina i cori e la gente nel canto dei salmi nella versione strofica di padre David Maria Turoldo.
Intanto prepara la tesi di laurea raccontando le vicende di un prete solitario da poco scomparso, figura leggendaria dell'Alta Lessinia. E Velo, affacciato appena sul margine dell'altopiano, dove ad oriente si stagliano i displuvi tra le valli del Chiampo, dell'Agno e del Leogra, intravvedendo Asiago e il Grappa nei giorni di vento, è segno forte di una montagna viva, che guarda con saggezza al futuro, che si racconta a viso aperto, che si reinventa senza timore sulle strade antiche.
E nella primavera che finisce aspetta il suono festoso dei campanacci che accompagna il passaggio delle mandrie che salgono “a caricare” le cento malghe intorno a Podestaria. L'estate in Lessinia è una sinfonia infinita.

Giovane Montagna”, rivista di vita alpina, anno 85°, n. 2, aprile – giugno 1999